La
registrazione di dati sul modo in cui ha risposto la pianta in termini
produttivi risulta agevole oramai con la maggior parte delle macchine da
raccolta, costituendo un’interessante opportunità per l’azienda agricola che
può così quantificare in maniera oggettiva quanto ha prodotto la coltura
nei diversi appezzamenti e nelle singole porzioni di ognuno di questi.
A fronte di
tale evoluzione tecnica, però, non sempre si accompagna un soddisfacente
interesse da parte dell’azienda fondamentalmente per due motivi:
il primo è che
l’operatore non ha mai avuto a disposizione questo strumento e quindi persegue
nella convinzione di poterne fare a meno, certo di poter contare
sull’esperienza maturata negli anni e sulle informazioni raccolte nelle diverse
stagioni. In realtà questo strumento non va a sostituire il ruolo
dell’operatore, ma va ad integrare in maniera oggettiva le conoscenze e i
riscontri delle stagioni precedenti, e proprio per questo risulta molto interessante
per poter puntare a ottenere il massimo risultato da ogni appezzamento
coltivato;
il secondo, non meno
importante, è legato alla confidenza dell’operatore con sistemi di
registrazione, dati e software di analisi: il tutto si è spesso risolto con la
stampa dei dati grezzi per una loro consultazione a posteriori, risultata poi
poco utile in quanto non rappresentativa spesso delle condizioni presenti in
campo.
A fronte di
un interesse che sta crescendo nei confronti dell’argomento, è bene sottolineare
un aspetto molto importante: se la possibilità di avere a disposizione dei dati
su come producono gli appezzamenti è un’opportunità per tutte le aziende, non è
altrettanto facile che tutte le aziende possano arrivare a utilizzare le
informazioni contenute nei dati raccolti in campo.
Giusto per
fare un esempio: i dati registrati possono contenere degli
errori, vanno quindi puliti, vanno poi comparati a quelli degli altri
appezzamenti e vanno interpretati per poter ricavarne le informazioni
necessarie a gestire nel modo migliore le differenze che si presentano in una
mappa di produzione. Ma queste operazioni vengono compiute una volta l’anno,
dopo la raccolta, e quindi per quanto potente e affidabile possa essere il
software con cui vengono realizzate, spesso è facile dimenticare i passaggi da
eseguire o il percorso completo per arrivare a dei dati attendibili su cui fare
dei ragionamenti. E proprio questo, a volte, scoraggia l’operatore, anche a
causa di un approccio troppo semplicistico o poco preparato da parte di chi
affianca l’azienda o da anni parla di questi argomenti senza averne piena e
adeguata conoscenza: tutto ciò, infatti, ha portato a una diminuzione del
valore delle mappe di produzione, che è bene precisare in maniera chiara non
servono né per capire se il campo produce di più o di meno, dato che questa
informazione è già conosciuta dall’azienda, né se ci sono delle differenze di
produzione, perché nel 90% dei casi la risposta produttiva di un appezzamento
non è mai omogenea al suo interno, quale che sia la coltura.
Una mappa di
produzione serve invece per definire la reale potenzialità produttiva di un
appezzamento, così da adeguare a questa l’impiego di mezzi tecnici: alle
informazioni che in essa sono contenute si devono perciò aggiungere i dati
sulle proprietà del terreno, oltre che quelli relativi alla capacità produttiva
dell’ibrido o della varietà coltivati.
Solo in
questo modo le informazioni raccolte nel corso degli anni possono essere
veramente di aiuto all’azienda agricola per rendere ancora più preciso il modo
in cui vengono coltivati i singoli appezzamenti, rispetto a quanto l’azienda
non sappia già fare a partire dai dati di resa media, che però appiattiscono e
nascono delle differenze la cui gestione è spesso conveniente dal punto di
vista economico.
Dal punto di
vista pratico, al fine di poter arrivare a completare l’intero percorso della
mappatura, è bene cominciare con il raccogliere dei dati realistici e
attendibili già dal campo, tenendo a mente quattro regole fondamentali.
1 I sensori sono
oggi in grado di eseguire delle misure molto precise, ma è
necessario avere cura del loro stato e quindi verificarne l’usura: un esempio
molto diffuso è dato dalle piastre di lettura del sensore di quantità di
prodotto raccolto, che va tenuta sotto controllo così da evitare delle letture
troppo discordi rispetto al peso reale. Spesso, infatti, l’operatore non
riuscendo ad allineare i due valori tralascia questo accorgimento registrando
dei dati non coerenti con la situazione in campo, anche se i realtà è proprio
lo stato del sensore la causa del malfunzionamento.
2 Spesso le
condizioni in cui si raccoglie il prodotto sono soggette a variazioni non
previste, legate spesso al prodotto allettato (es. grano o riso) o a
differenti stadi di maturazione (es. soia) all’interno dello stesso
appezzamento: per evitare di registrare dati poco attendibili è sufficiente
correggere il modo in cui il sensore esegue le misurazioni, cosa che oggi si
può fare comodamente interagendo con il monitor in cabina, senza interrompere
il lavoro.
3 Per i sistemi
volumetrici, che necessitano del peso specifico della granella per la stima
della quantità raccolta, è bene ripetere la misura di questo parametro almeno a
ogni cambio di varietà raccolta o quando le condizioni del campo risultano
visibilmente differenti, così da garantire dei dati confrontabili poi con
quelli reali misurati alla pesa o al centro di raccolta.
4 Qualsiasi
sistema stima la quantità a partire dall’area raccolta, che a sua volta dipende
dalla larghezza della barra: se questa varia, allora anche il dato può
risultare più o meno falsato, in quanto il prodotto pesato non viene riferito
alla corretta superficie. Questo problema, che nel caso delle macchine da
raccolta di nuova generazione viene risolto in automatico dal sistema grazie
alla capacità di riconoscere in ogni momento la posizione della macchina
rispetto alla passata che l’operatore sta compiendo, può essere facilmente
evitato anche nei sistemi meno recenti agendo semplicemente sul tasto apposito
durante la raccolta: tale operazione, che non comporta alcuna perdita di tempo
per l’operatore è in grado di preservare la qualità del dato registrato.